Food for Minds/selectedbooks by qualified readers
E' una selezione di libri di
qualità pensata per fornire suggerimenti ai tavoli degli architetti.
Le recensioni sono a cura di lettori che a uno sguardo
serio e penetrante accoppiano una consapevole modalità di scrittura.
INDEX
All reviews
Il seminario condotto da Antonino Saggio ha inteso fornire uno spaccato
critico su alcuni testi recenti di Teoria dell'architettura contemporanea
e allo stesso aprire la riflessione sul rapporto tra teoria e pratica progettuale
all'interno dell'attività dei partecipanti, A partire dal testo analizzato
e commentato in ciascun articolo è presente un progetto architettonico che
serve ad esemplificare, seppure parzialmente, alcuni nessi tra elaborazione
teorica e ricerca progettuale di ciascun dottorando di ricerca.
Dottorato di Ricerca in
Composizione Architettonica (Teoria dell'architettura)
Facoltà di Architettura Ludovico Quaroni
– La Sapienza Roma
STAR SYSTEM E LANDMARK
THE STRANGE NEW
WORLD OF THE
di Sabrina Leone
“Today’s cities are characterized, not by the universal triumph of
generic space, but by the often dramatic encounters between the generic and the
specific; the global and the local; the slick present and the recalcitrant
past. (…) This encounters produce what are actually
the distinctive moments of the contemporary city: the hybrid space, the strange
juxtaposition, the sudden shift in scale or variation in intensity,
incongruity.”
Rowan
Moore (a cura di),
Vertigo. The strange new world of the
contemporary city,
Laurence King Publishing,
A partire dalla constatabile diffusione di alcuni modelli architettonici o modalità di progetto, che
prescinde da legami con la storia o la
cultura locali, Moore individua una chiave di lettura
di tale fenomeno capace di spiegarne i meccanismi e di fagocitarne i linguaggi.
Tale approccio funzionale
considera quell’intorno
architettonico reale, che da alcuni caratteri/successi della cinematografia
trae spunto, per tradursi in un meccanismo esplicitamente legato ad aspetti
economici, dove le leggi di mercato influiscono in maniera determinante nel
complesso dispositivo del mondo dell’architettura.
In simile accertato sistema,
il termine architetto va attribuito con pienezza a quanti, non trascurando tale
intorno, sono capaci di attribuirgli la giusta considerazione dando luogo a opere che sfruttano i meccanismi in gioco ma non
trascurano quegli aspetti propri della materia architettonica, che vengono così
riattualizzati. È questo, in ultima analisi, il nodo problematico che il testo affronta.
Vertigo
dunque, volutamente, allude innanzitutto al mondo del cinema - è un noto film
di Hitchcock - ma è anche il titolo, intenzionalmente
ambiguo, di una mostra tenutasi a Glasgow del 1999 dalla quale sono emerse le
questioni poi affrontate nel libro.
J. Herzog,
nell’introduzione al testo, evidenzia il nesso fra la mostra e il film, fra la
realtà delle città contemporanee e la tecnica su cui il film si articola: si tratta
principalmente dell’opposizione fra generico
e specifico.
L’uso di un’ambientazione
generica produce nel film sensazioni più accese nel momento in cui un
avvenimento specifico si manifesta, avvenimento che contiene dei caratteri di
sorpresa e di tensione relativi al genere proprio di Hitchcock, o di vertigine
se si allude al modo dell’architettura - si pensi alla singolarità di
taluni edifici in tessuti urbani di una certa coerenza formale - ambientazioni
che comunque tendono a produrre e/o amplificare sensazioni, a privilegiare il
coinvolgimento sensoriale.
Moore, che è il curatore del testo, coglie questo aspetto diffuso nelle città contemporanee,
caratterizzate da ‘ spesso drammatici incontri fra lo spazio generico e quello
specifico; il globale e il locale; il lucente presente e il recalcitrante passato’, a partire da ciò pone una serie di questioni, per
chiarirne le dinamiche e le motivazioni, che indaga attraverso una trattazione
intessuta dall’esame di opere realizzate in diverse parti del mondo.
Dieci di queste vengono descritte puntualmente nella seconda parte del testo
da altrettanti autori. La loro sequenza è di volta in volta individuata secondo
una suddivisione apparentemente tipologica, o per funzioni, ma che in realtà
tende a confermare la chiave di lettura che Moore
individua nella trattazione che le precede.
L’autore, come critico
d’architettura, di fronte all’eterogeneità che il
panorama architettonico delle nostre città mostra, cerca di ipotizzare
questa chiave di lettura capace di spiegare un tale fenomeno che, a stento,
riesce ad essere catalogato secondo modalità formali o
comuni approcci teorici, e che rischia di
essere velocemente liquidato o come giustapposizione casuale di parti
differenti, o come dimostrazione di abilità progettuale dei singoli autori, i
quali producono oggetti architettonici forse sempre più effimeri, autoreferenziali, globali e vicini al mondo del design
piuttosto che a quello dell’architettura.
Le sue riflessioni si fondano su alcune constatazioni iniziali.
Innanzitutto
il rapporto fra lo spazio generico e quello specifico nell’accezione già
introdotta e vicina alla cinematografia.
In
secondo luogo la considerazione del potere che il mondo dell’immagine esercita
sullo spettatore, come ulteriore nesso fra cinema ed
architettura; aspetto ampiamente sfruttato dalle città ‘sostitutive o del divertimento’, da Las Vegas ai parchi tematici di Walt Disney, che
sembra in maniera crescente essere utilizzato anche nell’architettura delle
città cosiddette ‘reali’. A tal proposito Moore osserva come le distanze fra queste due città si
vanno affievolendo; le seconde si appropriano dei
meccanismi delle prime e li trasferiscono in ‘oggetti’
di scala architettonica, dagli shopping mall ai landmark. Secondo
questa logica le architetture di cui stiamo parlando si fondano su criteri
altri da quelli che riguardano l’aspetto del locale, o del rapporto col contesto, che vanno oltre le basi tradizionali
dell’architettura. Si fondano principalmente su meccanismi per i quali è
irrilevante la prossimità geografica poiché la modalità
funziona a prescindere. In questa ottica l’oggetto
architettonico, e il consenso che riscuote, innesca meccanismi paralleli ed è
considerabile come una pubblicità tridimensionale nelle città, esso dà un
ritorno immediato al progettista, nell’ ambito del ‘mercato’
degli architetti star, ma anche al suo committente politico o privato che sia.
Questi
landmark possono essere considerati, per tali motivi,
oggetti architettonici secondo un’accezione differente da quella proposta da Nouvel e Baudrillard in ‘Architettura e nulla. Oggetti singolari’.
È
chiaro infine l’aspetto legato al globale che si viene
ad introdurre come risultato di un simile processo. In quest’ottica è
legittimata la tendenza all’ibrido come innesto nel tessuto urbano di architetture diverse, che muovano da posizioni differenti
se non opposte, da R. koolhaas a F.
O. Gehry. Quest’ultimo è considerato da Moore uno dei
più abili a gestire il ‘nuovo strano mondo della città
contemporanea’.
Un mio
progetto che maggiormente si avvicina per tematiche e
modalità alle questioni che Vertigo ci propone è quello della tesi di laurea;
esso insiste nella fascia adiacente le Mura Vaticane collocandosi fra due preesistenze
forti: la città del Vaticano con i suoi Musei e il quartiere a maglia
ottocentesca di Prati con le sue infrastrutture. L’eterogeneità del contesto edificato, in prevalenza un’espansione del
quartiere del secondo dopoguerra di scarso valore storico/architettonico, nel
confrontarsi con i caratteri geomorfologici del sito
ha lasciato numerosi spazi interstiziali irrisolti che aumentano il valore
strategico dell’area.
Alla
scala urbana il progetto si sviluppa secondo un sistema di assi
che capillarmente si distribuiscono lungo la fascia mettendo in forma quelle
relazioni che la caratterizzano nei suoi interstizi. La strategia consiste nella valorizzazione
dello spazio trasformabile con interventi, fra/negli edifici da
mantenere/sostituire, che fanno riferimento a modalità chiarite alla scala
architettonica, e consolidate nella cultura contemporanea della trasformazione
nella città esistente, che includono quelli citati da Moore,
dei quali fra gli altri: la Tate Gallery of Modern Art di Erzog&De Meuron a Londra, il Museo Ebraico di Libeskind a Berlino,
il Cinema di Coop Himmelbalu
a Dresda, il Reichstag secondo il progetto di Foster.
Il passaggio fra le scale urbana e architettonica comporta la suddivisione del
progetto in sistemi minori fortemente correlati;
l’operazione predispone la concreta realizzabilità per fasi gestita secondo
tecniche di project financing in collaborazione tra
pubblico e privato.
La questione progettuale è riassunta in
tre tematiche: il confronto fra i tessuti della città
implementato dall’inserimento del nuovo/dalla modifica dell’esistente secondo
un linguaggio autonomo; l’interstizio come risorsa progettuale in termini si
spazio valorizzabile; il progetto di oggetti architettonici che sono degli
ibridi per le funzioni che ospitano.
AntoninoSaggioHome